Nelle intenzioni di Mussolini la campagna di Russia doveva essere il momento per mostrare il proprio orgoglio a fianco dell’alleato tedesco. Nel luglio del 1941 partirono 50 mila uomini dello Csir, il Corpo di spedizione italiano in Russia. Un anno dopo altri 200 mila uomini andranno a comporre l’Armir, l’ottava Armata italiana in Russia. Le divisioni, soprattutto quelle alpine, che parteciparono alla campagna, hanno nomi che sono leggenda : la Tridentina, la Julia, la Cuneense.
Il luogo di battaglia principale sarà il corso del fiume Don, su un fronte lungo oltre 300 chilometri. Dopo un’estate di combattimenti si arrivò all’inesorabile inverno russo con le temperature scese a oltre 30 gradi sotto lo zero e con i soldati italiani in divise di tela, scarpe bucate, poche munizioni, quasi senza cibo e con scarsissime comunicazioni fra i reparti.
I russi dilagarono a partire dal dicembre 1942 chiudendo sia i tedeschi che gli italiani in una sorta di sacca: si contarono migliaia di morti. Il 12 gennaio 1943 ci fu il secondo sfondamento sovietico ed il giorno seguente, il 13 gennaio iniziò la lunga, lenta e disperata ritirata delle truppe italiane. A piedi, senza cibo e vestiti adeguati, i nostri soldati girarono le spalle e guardarono le immense distese di neve e ghiaccio. Iniziò così il loro calvario.
L’ultima grande battaglia avvenne il 26 gennaio 1943 a Nikolajevska con le nostre truppe circondate in mezzo al nulla nel disperato e riuscito tentativo di sfondare l’accerchiamento per poi iniziare l’infinito viaggio di ritorno a piedi. In oltre due mesi di ritirata cadranno moltissimi dei già non molti sopravvissuti alle battaglie, altri verranno catturati ed internati. Le truppe italiane contarono in questa campagna 74 mila morti e 26 mila rimpatriati per ferite o congelamenti.
I racconti di Mario Rigoni Stern “ Il Sergente nella neve” e di Giulio Bedeschi “Centomila gavette di ghiaccio” rendono uno spaccato drammatico dell’odissea del ritorno.