Torniamo ancora una volta a parlare del Museo Storico della Resistenza di Sant'Anna di Stazzema (descritto in un nostro precedente articolo), in particolare della parte allestita con le bellissime foto di Oliviero Toscani accompagnate dalle testimonianze di alcuni sopravvissuti alla strage del 12 agosto 1944, per poter permettere a tutti quanti, come già detto nel precedente articolo, di capire com'è stato vissuto da queste persone quel periodo infernale, così che tutto questo non venga mai DIMENTICATO.
Giunti al terzo post nella serie con la testimonianza di Enrico Pieri, potete recuperare i precedenti due articoli semplicemente selezionando la categoria "TESTIMONIANZE".
Sono nato a Sant’Anna di Stazzema il 19 aprile 1934.
Quella mattina eravamo già alzati. Ci alzavamo presto dato che la stagione era bellissima. La mia famiglia era composta da babbo, mamma e due sorelle. Quella mattina c’hanno avvisato che c’erano i tedeschi all’Argentiera. C’è stato un piccolo consulto fra i miei zii e mio padre e hanno deciso di rimanere a casa, gli uomini. Infatti p una delle poche borgate dove gli uomini, i capifamiglia, sono rimasti tutti uccisi. Dopo dieci minuti, che ci hanno avvisato che c’erano i tedeschi, sono scesi giù dal boschetto e sono arrivati nella nostra cucina. C’hanno fatto uscite, con modi bruschi e ci hanno avviato verso la piazza della chiesa insieme alla famiglia Pierotti. Abbiamo fatto appena cinquanta metri, ci hanno fatto ritornare indietro e ci hanno portato nella cucina della famiglia Pierotti, gente di Pietrasanta, sfollata in casa della nonna materna. Noi bambini eravamo davanti. Appena si è arrivati dentro la cucina, sono entrati gli uomini che ci hanno fatto da scudo. I tedeschi hanno iniziato a sparare e, hanno sparato…
Nel frattempo, dato che noi bambini eravamo davanti, una delle sorelle Pierotti, che si chiama Grazia, m’ha chiamato e m’ha fatto entrare sotto un piccolo sottoscala. Hanno continuato a sparare con la pistola, le bombe a mano e noi ci siamo salvati sotto questo piccolo sottoscala. Poi hanno dato fuoco alla casa e, per fortuna non è bruciata; sono due combinazioni che sennò non ero qui; … se bruciava la casa si bruciava vivi.
Dopo un po’ non si poteva respirare dal fumo che c’era dentro la casa. Siamo usciti, dopo dieci minuti, un quarto d’ora, non lo so di preciso quanto. Ci siamo nascosti in una piana di fagioli che era molto vicina alla casa e siamo stati lì diverse ore, fino al pomeriggio. Poi siamo rientrati anche in cucina per vedere se c’era ancora qualcosa e abbiamo visto che erano tutti morti. Io, dato che ero di Sant’Anna, conoscevo il posto. Alle cinque del pomeriggio ho attraversato tutta la vallata e sono sceso dalla parte del colle di Vallecava. Lì ho trovato la prima famiglia, le prime persone viventi, Teresa e la sua famiglia e altri sfollati. Abbiamo iniziato a piangere perché prima, chi sa? Mentre eravamo nascosti non s’è né pianto, né avevamo bisogno di fare pìpì, … né niente.
Siamo stati delle ore impietriti dentro una piana di fagioli, così… Spaventatissimi perché ad ogni rumore si pensava che ci fossero sempre i tedeschi che ammazzavano.
… Io a una cert’ora, non so, verso le 18 o le 19:00 sono voluto ritornare a casa a vedere se era bruciata la casa della nonna. Ho attraversato ancora il bosco, sono arrivato a casa e ho visto che stava bruciando il trave principale della casa. Ho preso un recipiente e sono andato alla sorgente, alla fonte e ho cercato di spegnerlo, nel mio piccolo, perché ero un bambino di dieci anni. Insomma ho cercato ti spegnere il trave principale perché non bruciasse. Effettivamente non è bruciato. Nella cucina c’era il babbo, la mamma e due sorelle, il nonno paterno e la famiglia Pienotti: babbo, mamma, due figli e una zia. Sicchè nella cucina c’erano dieci persone uccise.
… Sì.
Ho perso tutta la mia famiglia, sono rimasto solo, perché anche il nonno e la nonna materna, zii sono stati uccisi. Insomma… m’è rimasto solo uno zio paterno e una zia paterna e uno zio che poi è stato portato in Germania.
La mia infanzia è stata un po’ un calvario… Però, sono ancora qui, a sessantott’anni, a raccontarvi tutto questo.
Io, recentemente, ho detto che ho perdonato. Ho detto questa parola: che avevo perdonato. Però non perdono le ideologie così cattive. Ma ho perdonato,… l’odio, via! L’odio, ho capito che non porta da nessuna parte, anzi! Perché quel periodo dell’odio proprio, anche fra gli stessi paesani, fra le stesse famiglie c’era l’odio che poi ha portato alla distruzione dell’umanità. Quasi. Ci sta portando. Perciò, oggi, perdonare è un credo. E devo esser sincero: quando vedo i giovani tedeschi che salgano a Sant’Anna mi fa sempre piacere. Basta.