Gli anni che vanno dal 1941 al 1945 segnarono in Italia un lungo periodo di privazioni alimentari. Durante la Seconda Guerra Mondiale si mangiava per lo più ciò che il terreno aveva da offrire, razionato tra tutti i componenti del nucleo familiare.
I piatti erano dunque a base di ortaggi e legumi, di rado comprendevano carne e il consumo di dolci non era ancora diffuso.
Il razionamento del cibo durante la Seconda Guerra Mondiale era regolato dalle tessere annonarie (dette anche "tessere della fame"), che regolavano la quantità di cibo giornaliera per ogni singolo cittadino. Erano necessarie file lunghissime davanti ai negozi per procurarsi gli alimenti e la quantità di cibo a persona era veramente poca. Il regime, inoltre, pubblicizzava lo slogan "Se mangi troppo derubi la patria".
La situazione era tragica, sopratutto nelle campagne, dove non esisteva la così detta "borsa nera" (generi di ogni tipo venduti a caro prezzo) e i contadini dovevano sopravvire con ciò che il razionamento offriva.
Colori diversi per le differenti fasce d’età: verdi per i bambini, azzurre per gli adolescenti e grigie per gli adulti. Gli uffici municipali che distribuivano il cibo erano riforniti ogni due mesi.
Ecco alcuni esempi di ciò che si poteva avere con la tessera annonaria:
200 g di pane al giorno (pane nero, fatto con poco grano e legumi sfarinati)
una candela al mese
2 dl di olio per un quadrimestre
poca pasta nera
Pochi alimenti, per lo più immangiabili, fecero sì che nelle città nascesse la borsa nera: materiali di contrabbando, come latte e olio, venivano venduti al mercato nero, che divenne una piaga sociale. Sempre più i ricchi si arricchivano a discapito dei poveri che, per acquistare di che da vivere, dovevano vendere gli oggetti più disparati (ori di famiglia, mobili, poderi...).