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19-23 Luglio 1944: Le prime stragi sul Monte Sole


Luoghi eccidi

Nel periodo che va dal 19 al 23 Luglio 1944 il territorio di Monte Sole è stato interessato da quelli che potremmo definire come i primi eccidi della zona, perpetrati nei confronti di civili e resistenti da parte delle forze nazi-fasciste alla caccia della formazione partigiana Stella Rossa e del suo Comandante Lupo.

Il primo rastrellamento che causò numerose vittime avvenne a Piandisetta, una frazione del comune di Grizzana Morandi (BO), dove le SS tedesche uccisero dalle 22 alle 27 persone per rappresaglia, ma le cause non sono del tutto certe. Alcune fonti dicono che, nella notte tra il 19 ed il 20 Luglio, alcuni partigiani della Stella Rossa attaccarono dei mezzi germanici all’altezza del paesino che erano diretti in Toscana, uccidendo 2 militari e ferendone altri. Secondo Don Libero Nanni, invece, in quella stessa notte alcuni resistenti bussarono alla porta della famiglia Monti chiedendo qualcosa da mangiare, ma questi gli rispose esplodendo alcuni colpi di pistola. In quel momento passava un convoglio tedesco che, udendo i colpi di rivoltella, pensò di essere sotto attacco e risposero al fuoco sparando ai partigiani ed in direzione della casa. 2 tedeschi rimasero uccisi, il Monti e la moglie vennero feriti ed i nazisti, per rappresaglia, uccisero il mugnaio Gino Piacenti che aveva la casa attigua a quella del Monti e le incendiarono entrambe. Il 22 Luglio arrivarono sul luogo dello scontro altre formazioni di SS che iniziarono a rastrellare lì intorno e nel territorio di Montorio (Monzuno). Alcuni dei fermati furono uccisi immediatamente, mentre altri furono portati a Ponte Locatello ed uccisi in quel luogo. La maggior parte delle vittime erano persone tra i 60 e gli 80 anni e ci sono dubbi sull’ammontare del numero perché, in quelle stesse zone, nei giorni seguenti ci furono altre uccisioni. Sicuramente quel giorno morirono 22 persone, ma se si aggiungono i 5 fucilati a Veggio (Monzuno), Tavernola e Prada (Grizzana), il numero sale a 27. I loro corpi vennero lasciati insepolti per giorni a monito per la popolazione; ora sono ricordati nella chiesa di San Vincenzo di Piandisetta, trasformata in Sacrario ai Caduti nel 1984 quando venne ristrutturata. Le vittime che è stato possibile identificare sono: Teresa Antolini, Remo Barbieri, Pellegrino Benassi, Remo Calzolari, Giuseppe Fabbri, Cesare Ferri, Giuseppe Fornasini, Pietro Giuliani, Giovanni Iannelli, Margherita Mantovani, Giuseppe Tullio Mingarelli, Anacleto Monti, Giuseppe Moruzzi, Ernesto Nodi, Guerrino Nanni, Carlo Nanni, Gino Piacenti, Angelo Pinelli, Pasquale Puccetti, Carlo Rondelli, Antonio Serra, Augusto Teglia, Antonio Tonelli, Augusto Tonelli, Augusto Valdisserra, Riccardo Vecchi, Flaminio Zannini, Augusto Zannini, Domenico Zannini e Giovanni Zannini. Secondo Don Nanni furono uccisi anche Aristide Zannini e Federico Zannini, dei quali non è stato possibile accertare l’identià.

Il 23 Luglio i partigiani della Stella Rossa attaccarono un’auto tedesca lungo la strada Vergato-Grizzana, vicino a Bozzo (Grizzana) sul Monte Stanco. Per rappresaglia un reparto delle SS rastrellò circa 10 persone, tra cui alcuni sfollati di Bologna, e 7 uomini furono scelti a caso ed uccisi all’istante. Come fu per le vittime di Piandisetta, anche i loro corpi vennero lasciati senza sepoltura per giorni come monito. Sul luogo dell’eccidio è stato eretto un cippo con i nomi delle vittime: Luigi Calisti, Alberto Lava, Giovanni Lucchi, Giuseppe Lucchi, Dino Marchi, Umberto Romagnoli ed Ezio Vedovelli.

Lo stesso giorno i tedeschi attuarono un rastrellamento in risposta ad un attacco partigiano della Stella Rossa subito sulla strada Porretana all’altezza di Pioppe di Salvaro. La notizia di questo attacco si sparse velocemente e gli abitanti di Pioppe cercarono rifugio nella chiesa di Malfolle. Inizialmente sembrò che i nazisti avessero lasciato cadere l’affronto, ma poi all’orizzonte iniziarono a vedersi le colonne di fumo provenienti dalle case date alle fiamme. I tedeschi infatti, guidati dai fascisti, perquisirono tutte le case rastrellando gli abitanti per poi portarli a valle; prima però si fermarono sotto il portico di una casa a Fazzolo, o Faggiolo nei pressi di Pioppe, dove si impossessarono di cibo e denaro, e poi fucilarono 13 persone, di cui due, i fratelli Fermo e Medardo Franchi, riuscirono a scappare nei boschi. Un terzo, Domenico Minelli, non ebbe la stessa fortuna. I corpi vennero bruciati insieme alla casa. Gli altri rastrellati vennero condotti a Bologna, dove furono liberati grazie all’intervento di Don Giovanni Fornasini. Le vittime identificate furono: Cucchi Fernando, Melega Aldo, Minelli Mario, Simonini valentino, Venturi Giuseppe, Golfetti Pietro, Minelli Domenico, Serenari Celso, Stanzani Emilio e Zanardi Francesco.


Ecco la testimonianza di Fermo Franchi:


“Il 22 luglio 1944 io ero nella mia casa di Fagiolo di Malfolle coi miei familiari, che erano coloni. Ero a casa dall’8 settembre 1943 dopo la fuga dai soldati a Udine: stavo nascosto perché non volevo andare nell’esercito fascista. Lavoravo nei campi ma cercavo di non farmi mai vedere nel paese e nelle strade. Quella sera sentimmo dire dagli sfollati di Pioppe, che venivano a dormire da noi, che i tedeschi forse avrebbero fatto un rastrellamento. […] La sera prima del massacro di Fagiolo, mio fratello mi disse che c’era del pericolo di rastrellamento. Siccome non avevo alcun documento andai nel bosco dove dormii da solo. La mattina, mio fratello, che era nella casa, mi avvertì fischiando, che non c’era pericolo e che potevo tornare a casa. Cominciai a scendere e poi incontrai i tedeschi per strada. Mi presero, mi misero insieme agli altri e ci radunarono tutti nella nostra casa. Quando arrivai ce n’erano circa una ventina, compresi gli sfollati e la vecchia madre di Amedeo Nerozzi, primo sindaco di Marzabotto, morto combattendo in Spagna: aveva 93 anni. Noi eravamo in una decina e così tutti insieme dovevamo essere circa una trentina. Ci misero tutti sotto il portico dove sono gli attrezzi. […] I tedeschi erano circa sette, e fra essi vi erano due soldati che parlavano proprio come noi, sebbene avessero la divisa tedesca. Dal dialetto mi sembrarono due bolognesi e ricordo che dissero: “Voi siete tutti badogliani e non siete da perdonare”. I tedeschi dissero: “tutti kaputt!” e piazzarono una mitragliatrice davanti alla casa e poi misero altri due soldati col mitra. La scena era terribile. […] Poi i tedeschi presero i bambini e anche mio padre e anche delle donne e li mandarono a Bologna. […] I tedeschi ci interrogarono e poi ci fecero mettere tutti contro il muro per la fucilazione: eravamo in tredici uomini. Inizialmente pensavamo che ci avrebbero impiccati, come avevano fatto pochi giorni prima a La Quercia, dove avevano impiccato dei giovani e li avevano lasciati esposti per più giorni. […] Ma il maresciallo decise invece di fucilarci. Io e mio fratello volevamo tentare di saltargli addosso, poi scappare. Quando fummo contro il muro io presi due fucilate di striscio: una all’orecchio sinistro e una nella spalla sinistra. Allora mio fratello ed io facemmo un grande salto e riuscimmo a buttarci nel bosco. I tedeschi ci spararono dietro con tutte le armi, ma non ci presero. Sentimmo gli italiani vestiti da tedeschi che ci cercavano seguendo le orme nel fosso, ma non ci videro. […]Poi rimasi nel bosco fitto fino a sera e mio fratello lo vidi la sera dopo. Dal posto dov’ero vidi la casa e la fucilazione. Poi la casa fu bruciata insieme ad altre. Si vedevano salire le fiamme e le bestie scappavano. Poi sentimmo, per due ore, le mitragliate e gli urli dei poveretti che erano stati fucilati. In complesso i morti furono undici. Restai alla macchia fino alla fine della guerra. […]”


Fonti: www.memoriadibologna.comune.bologna.it

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