Mario Jacchia, nasce il 2 Gennaio 1986 a Bologna, dove esercitò anche la sua professione di avvocato. Figlio di uno tra le più importanti figure della Massoneria bolognese, a Mario fu impedito di esercitare la sua professione all'uscita delle leggi razziali, poiché ebreo.
Nel 1925, cominciarono le ingiurie che non sarebbero terminate di lì a poco; un gruppo di squadristi fascisti, fecero irruzione nel suo studio legale e lo incendiarono. Mario, giunto sul posto, vedendo tutte le sue pratiche legali bruciare, fu preso da un impeto di rabbia ed estrasse la rivoltella, sparando agli squadristi, senza colpirli. A causa di questo episodio fu arrestato e denunciato ed iniziarono le persecuzioni.
Nel 1943 fu tra i principali esponenti del PdA (Partito d'Azione), tra i primi gruppi antifascisti bolognesi.
l'8 settembre 1943, Mario si reca a Roma, dove partecipa attivamente nella lotta contro i tedeschi, con lo scopo di unire i gruppi di azione antifascisti con l'Esercito, per organizzare la sollevazione, e qui incontra Cadorna, il quale diventerà poi Comandante del Corpo Volontari della Libertà.
L'avvocato torna nella sua città natale, Bologna, dove entra a far parte del Comitato Nazionale CLN dell'Emilia Romagna, come rappresentante delle formazioni Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione. Da questo momento in poi i partigiani emiliani combattono a fianco e sotto le direttive di Mario Jacchia, nome di battaglia "Rossini". Fu egli stesso, che propose il nome della 66° Brigata Garibaldi Jacchia, in memoria del cugino Piero Jacchia, un triestino antifascista caduto a Madrid.
Il 3 Agosto 1944, mentre Rossini si trova a Parma, in una riunione con il suo comando dell'Emilia Nord-Ovest, i fascisti irrompono, Mario Jacchia viene catturato cercando di prendere tempo in modo che i suoi compagni potessero scappare.
I fascisti lo consegnano alle SS tedesche, e qui, come verrà poi riportato da alcuni suoi compagni di cella sopravvissuti, verrà brutalmente torturato e tentò più volte di togliersi la vita.
Il suo corpo non verrà mai più ritrovato e non riceverà mai una degna sepoltura. Gli è stata concessa la medaglia d'oro, per il suo servizio partigiano e per rendere onore alla sua memoria, a Bologna, presso via D'Azeglio 58, dove si trovava il suo studio, è stata infissa una lapide con su scritto; "Mario Jacchia fedele agli ideali del padre per l'Italia valorosamente combattè per la libertà sostenne tenace lotta. In questa casa visse lavorò cospirò da essa si diparti per offrirsi in olocausto nella duplice tirannide straniera e domestica 1896-1944".