“Il sangue di piazzale Loreto lo pagheremo molto caro!”
Con queste parole Mussolini, a strage avvenuta, si rivolse al vice-capo della polizia della RSI Eugenio Apollonio e furono assolutamente profetiche perché, il 29 Aprile 1945, in quello stesso luogo il Duce, Claretta Petacci ed altri 15 gerarchi fascisti verranno impiccati e giustiziati dopo la cattura a Dongo, sul lago di Como.
Piazzale Loreto si trova a Milano e qui, il 10 Agosto 1944, vennero uccisi 15 partigiani dai militi del Gruppo Oberdan della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti della RSI, su ordine delle forze naziste al comando di Theodor Saevecke, allora comandante del servizio di sicurezza di Milano e provincia. Queste uccisioni furono un atto di rappresaglia a seguito di un attentato avvenuto un paio di giorni prima in viale Abruzzi dove, a seguito dell’esplosione di un camion tedesco, morirono 6 civili milanesi ed 11 rimasero feriti. Nessun tedesco, tuttavia, perse la vita, solo l’autista del mezzo riportò qualche ferita.
Alle 6 della mattina, i partigiani vennero prelevati dalle carceri di San Vittore e portati al piazzale con l'inganno: ognuno di loro teneva in mano un biglietto con il proprio nome (la loro condanna a morte) e gli fu data una tuta da lavoro per fargli credere di essere in partenza per il lavoro forzato in Germania; sul registro del carcere, invece, verrà riportato che erano in trasferimento per Bergamo. Una volta raggiunto il luogo del martirio, furono colpiti da raffiche di mitra, alcuni tentarono la fuga cercando la salvezza negli androni dei palazzi ma vennero subito raggiunti dai militi. I corpi vennero lasciati esposti sotto il sole cocente di Luglio, in maniera scomposta e ricoperti di mosche, a monito per la popolazione fino alle 20, sorvegliati dai soldati della Muti e con cartello che li identificava come assassini. Nemmeno ai parenti fu permesso di raggiungere i cadaveri per rendergli omaggio e le forze ausiliarie della RSI continuarono ad oltraggiare quei poveri resti in qualunque modo, obbligando i passanti ad assistere al vilipendio.
Questa esecuzione, con successiva offesa ai cadaveri, lasciò l’opinione pubblica profondamente sconvolta. Il Prefetto di Milano e capo della Provincia, Piero Parini, nel suo “Pro memoria urgente per il Duce” espresse tutto il suo rammarico per i metodi utilizzati, irregolari e contrari alle norme, che andavano ad aumentare le ostilità verso gli occupanti tedeschi.
Le vittime furono:
Gian Antonio Bravin (Milano, 28 febbraio 1908), commerciante, partigiano nel varesotto e Capo del III Gruppo dei GAP. Venne arrestato il 29 Luglio 1944 e portato a San Vittore;
Giulio Casiraghi (Sesto San Giovanni, 17 Ottobre 1899), tecnico della Ercole Marelli di Sesto, militante comunista e collaboratore partigiano dopo l’8 Settembre. Condannato nel 1930 a 5 anni di carcere per la costituzione del PCd’I, per appartenenza allo stesso e propaganda, nel marzo 1943 e nello stesso mese del 1944 organizzò degli scioperi, venendo arrestato il 12 Luglio e, dopo un periodo a Monza, verrà portato a San Vittore l’8 Agosto;
Renzo Del Riccio (Udine, 11 Settembre 1923), operaio meccanico, socialista, soldato italiano di fanteria e, in seguito, partigiano forse nel comasco. Dopo un primo arresto, riuscì a scappare durante la deportazione in Germania per lavori forzati, venne nuovamente catturato a Luglio del 1944 per delazione e, dopo un periodo a Monza, venne trasferito a san Vittore l’8 Agosto;
Andrea Esposito (Trani, 26 ottobre 1898), operaio, militante comunista e partigiano della 113° Brigata Garibaldi. Venne arrestato il 31 Luglio 1944 mentre era a casa con il figlio, renitente alla leva, il quale verrà portato prima al campo di concentramento di Gries a Bolzano, poi in Germania a Flossenburg ed in seguito a Dachau, da dove rientrerà a fine guerra;
Domenico Fiorani (Boron in Svizzera, 24 Gennaio 1913), perito industriale, socialista, collaboratore per i giornali clandestini e militante delle Brigate Matteotti. Arrestato nel Giugno del 1944 mentre si recava dalla moglie in ospedale e, dopo un periodo a Monza, verrà portato a San Vittore l’8 Agosto;
Umberto Fogagnolo (Ferrara, 2 Ottobre 1911), ingegnere alla Ercole Marelli di Sesto, rappresentante del Partito d’Azione nel CLN e responsabile dell’organizzazione clandestina nelle fabbriche. Insieme a Casiraghi, fu tra gli organizzatori dello sciopero del 1944. Venne arrestato il 13 Luglio e portato a Monza, dove venne ripetutamente torturato, e trasferito a San Vittore l’8 Agosto. Ha ricevuto la Medaglia d’argento al valor militare alla memoria;
Tullio Galimberti (Milano, 31 Agosto 1922), impiegato, appartenente alle formazioni Garibaldi, venne arrestato durante un incontro clandestino alla fine del Giugno 1944 e fu subito portato a san Vittore;
Vittorio Gasparini (Ambivere, 30 Luglio 1913), Dottore in economia e commercio, capitano degli alpini, responsabile di una missione radiofonica della V Armata americana. Incarcerato e torturato a San Vittore, ricevette la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria;
Emidio Mastrodomenico (San Ferdinando di Puglia, 30 Novembre 1922), agente di PS al commissariato di Lambrate, capo dei GAP, venne catturato il 29 Luglio e incarcerato a San Vittore;
Angelo Poletti (Linate al Lambro, 20 Giugno 1912), operaio, militante socialista e con una breve esperienza partigiana in Val d’Ossola. Rientrato a Milano, dirige il gruppo che darà vita alla 45° Brigata Matteotti e venne arrestato il 19 Maggio subendo sevizie e torture;
Salvatore Principato (Piazza Armerina, 29 Aprile 1892), militante socialista e perseguitato politico. Venne arrestato l’8 Luglio come aderente al PSIUP e membro della 33° Brigata Matteotti. Venne portato a Monza, dove subì torture, per poi raggiungere San Vittore il 7 Agosto;
Andrea Ragni (Brescia, 5 Ottobre 1921), partigiano aderente alle formazioni Garibaldi, venne catturato una prima volta nel 1943 e riuscì a fuggire, fu nuovamente arrestato il 22 Maggio e portato a San Vittore;
Eraldo Soncini (Milano, 4 Aprile 1901), operaio, militante socialista e partigiano della 107° Brigata Garibaldi SAP. Venne arrestato il 9 Luglio ed il 7 Agosto fu trasferito a San Vittore. Il giorno del massacro tentò la fuga lungo via Andrea Doria ma venne ferito, cercò quindi riparo nel portone di via Palestrina 7 ma fu raggiunto dai militi fascisti e finito sul posto. Venne poi trascinato sul piazzale e buttato insieme agli altri cadaveri;
Libero Temolo (Arzignano, 31 Ottobre 1906), operaio, militante comunista e partigiano organizzatore delle SAP. Venne arrestato nell’Aprile del 1944 per delazione ed anche lui tentò di fuggire da piazzale Loreto, ma fu subito ucciso;
Vitale Vertemati (Niguarda, 26 Marzo 1918), meccanico e partigiano della 3° brigata d’assalto Garibaldi GAP “Lombardia” (poi “E. Rubini”). Venne arrestato il 1 Maggio.
Questa strage rimane un punto interrogativo perché, nel comunicato rilasciato dal Comando di sicurezza nazista, venne riportato che fu attuata come rappresaglia a seguito di ripetuti atti di sabotaggio, ma tra questi è difficilmente riconoscibile quello di via Abruzzi. Lo stesso Comandante dei GAP, Giovanni Pesce, negò in qualsiasi occasione che quell’esplosione potesse essere stata innescata da mano partigiana. Questo portò l’evento ad essere etichettato come controverso, anche perché il bando di Kesselring prevedeva l’uccisione di 10 italiani per ogni tedesco solo nel caso di vittime naziste ma, come abbiamo detto sopra, in quell’attentato non ci furono morti nazisti. È quindi possibile supporre che quella strage fu un atto di deliberato terrorismo, non di matrice partigiana, voluto forse dallo stesso Comandante della sicurezza, che scrisse una lista delle persone da fucilare (notiamo come proprio tra il 7 e l'8 Agosto alcune delle 15 vittime vennero trasferite al San Vittore), atto a sradicare la simpatia dei civili per la Resistenza ed ogni forma di collaborazione, così che i nazisti avessero massima libertà sulla strada verso il Brennero.
I primi a raccogliere informazioni sulla strage furono gli alleati nel 1946, mettendo insieme circa 40 testimonianze e alcune foto che incastravano il Comandante Saevecke; quei fascicoli tuttavia vengono insabbiati fino a quando non li richiese la Germania nel 1963 in occasione del processo al mandante. I faldoni iniziarono a girare di mano in mano, di ufficio in ufficio finendo per perdersi nel nulla fino al 1994, quando furono rinvenuti in un armadio con le ante rivolte verso il muro del Tribunale Supremo Militare di Roma. A quel punto venne istituito il processo al “boia di piazzale Loreto” a Torino che si concluse nel 1999 con la condanna in contumacia all’ergastolo. Ma ormai Saevecke aveva avuto la possibilità di vivere una vita piena: dopo aver prestato i suoi servizi alla CIA ed aver intrapreso la carriera nella polizia di Bonn, morì nel 2004 a 93 anni.
Sul luogo della strage è stato posto un monumento che sul davanti presenta una figura umana che si presta al martirio, mentre sul retro sono ricordati i nomi delle vittime.
Abbiamo voluto raccontarvi di questa strage per mostrarvi l’ampiezza del movimento partigiano che non era localizzato solamente sui nostri appennini, ma aveva basi un po’ ovunque in Italia, e le formazioni comprendevano militanti provenienti da molteplici paesi della penisola.
Fonti:
www.wikipedia.it
www.pochestorie.corriere.it
www.storiaxxisecolo.it