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15 novembre 1943: la strage del castello di Ferrara

Nella notte tra il 13 ed il 14 novembre 1943 venne ucciso il Federale di Ferrara, Igino Ghisellini, il cui corpo fu ritrovato a Castello d'Argile (BO).

La notizia giunse a Verona, dove era riunito il Congresso del partito fascista, ed i rappresentanti del Fascio repubblicano ferraresi rientrarono immediatamente in città, seguiti da squadristi di Padova e Verona, per vendicare l'accaduto.

Il 14 novembre vennero arrestate 75 persone, dando inizio alla rappresaglia: undici corpi vennero ritrovati già il giorno dopo nei pressi del fossato del castello estense ed in altri luoghi della città.

Il tragico evento ispirerà un racconto di Giorgio Bassani, da cui il regista ferrarese Florestano Vancini trarrà nel 1960 il film "La lunga notte del '43". La morte di Ghisellini rimarrà un mistero: sarà addossata da alcuni a partigiani comunisti provenienti da Bologna, mentre altre ricerche ipotizzeranno una faida interna al partito fascista.


Claudio Pavone nel suo volume “Una guerra civile…” fa risalire all’eccidio ferrarese del 15 novembre 1943 l’inizio della guerra civile in Italia. I fascisti, che compirono la strage in totale autonomia, tenendo all’oscuro i tedeschi, presenti in città sin dal 9 settembre 1943, che all’indomani produssero un documento ufficiale nel quale condannavano ciò che era avvenuto, rammentando che altri episodi del genere non sarebbero stati tollerati. A decidere la strage fu il segretario del PFR Alessandro Pavolini, indipendentemente dall’aver appurato la matrice dell’assassinio del federale Ghisellini che, una volta avuta notizia del ritrovamento del cadavere, di fronte ad un pubblico che chiedeva vendetta, decise l’invio a Ferrara di squadre di brigatisti di Padova e di Verona per attuare la rappresaglia. In realtà, sulle rive del lago di Garda, già da alcune settimane, Pavolini e Mussolini si fronteggiavano duramente, in relazione alla necessità di una svolta violenta del fascismo repubblicano nei confronti di quegli italiani che combattevano la restaurazione fascista. Questo della città estense ne fu l’esordio: “Ferrarizzare l’Italia”, si scrisse!


Gli uomini vennero rastrellati dai fascisti ferraresi e la rappresaglia venne compiuta solo ed esclusivamente dai repubblichini. In quel frangente la lotta partigiana non aveva ancora preso piede e da sempre è risultato difficile comprendere come Ghisellini avesse potuto essere ucciso dai partigiani antifascisti senza il coinvolgimento di qualche elemento interno al PFR. Resta assodato che il PFR, senza certezza alcuna circa la matrice della strage, anzi con pesanti dubbi relativi ad una faida interna, decise per una strage di cittadini, civili, ebrei, antifascisti, che nulla avevano a che fare con l’accaduto. La notte dell’eccidio, i fascisti sostennero si fosse riunito un mai accertato “tribunale straordinario” organizzato su due piedi, in realtà le decisioni vennero prese dal capo della provincia Enrico Vezzalini, inviato a Ferrara da Pavolini, per sovraintendere all’esecuzione e da un altro importante gerarca fascista bolognese, Fran Pagliani, oltre che dal console generale della milizia Giovanni Battista Riggio.


Estremi e note penali: E’ stato possibile recuperare solo il dispositivo della sentenza, conservato presso il tribunale di Bologna: la sentenza relativa al processo intentato A Giovan Battista Riggio, Arrigo Cavallazzi ed altri, venne emessa dalla Corte di Assise Straordinaria di Ferrara il 26 marzo 1948, riunitasi a Ferrara dal 16 marzo 1948. Si trattava di una Corte d’Assise Speciale che si era “lungamente” protratta nel tempo a causa delle grosse difficoltà incontrate nell'istruzione del fascicolo processuale (si noti che il processo aveva avuto inizio il 29 marzo 1947, ma dopo due giorni era stato rinviato al 9 aprile e successivamente definitivamente interrotto a causa dell’inconcludenza processuale). Non è stato possibile rintracciare altri probabili gradi di giudizio.

Note sulla memoria (per maggiori informazioni vedi la sezione apposita): La strage del Castello è caratterizzata da una memoria fortemente condivisa. Diverso il discorso relativo all'attribuzione dell’assassinio del federale che, a seconda dei momenti storici, ha subito notevoli manipolazioni da parte della politica. Decidere chi avesse ucciso il federale avrebbe, infatti, ad avviso dei partiti contrapposti, deciso chi tra loro avesse determinato la strage.

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