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L'Italia nella Seconda Guerra Mondiale


Carri armati alleati davanti al Colosseo

La Seconda Guerra Mondiale è così chiamata perché, come successe per la Prima, presero parte agli scontri nazioni provenienti da ogni parte del mondo, e le battaglie interessarono estese zone del territorio globale. Le operazioni belliche ebbero inizio l’1 settembre 1939 e durarono fino all’8 maggio 1945, per il settore europeo, e fino al 2 settembre, per quello asiatico.

Il conflitto, che vide schierate le Potenze dell’Asse (Roma, Tokio e Berlino) contro i Paesi Alleati (Francia, Inghilterra, Urss e Usa, seguite dalle Nazioni su cui gravava la loro influenza) prese le mosse dall’astio provato dai tedeschi nei confronti dei vincitori assoluti del primo conflitto (Francia e Inghilterra) e dal difficile trattamento riservato alla Germania a seguito del Trattato di Versailles, che portò allo scoppio di una profonda crisi economica che mise in ginocchio il Paese. Questo causò un forte malcontento nella popolazione che favorì la diffusione delle idee naziste di Adolf Hitler, che nel 1933 divenne Cancelliere della Germania e l’anno successivo, in seguito alla morte del Presidente Hindenburg, ne assunse la carica divenendo l’unico Capo del Governo tedesco. La sua politica estera ebbe subito un forte carattere espansionistico e, nel giro di pochi anni, il Reich rimilitarizzò la zona della Renania ed entrò in possesso dei territori austriaci (Anschluss), dei Sudeti, della Boemia e della Moravia, disgregando la Repubblica Cecoslovacca. Queste conquiste territoriali furono favorite anche dalla politica di appeasement delle potenze europee, una pratica che cercava l’accordo a qualunque costo piuttosto che il conflitto.

L’Italia si trovò coinvolta nella guerra perché nel 1922 era salito al potere Benito Mussolini che sosteneva che il Paese, alla fine del primo conflitto, avesse ottenuto una “vittoria mutilata” perché inglesi e francesi non avevano mantenuto gli accordi di “ingaggio”, per cui era in cerca di una rivincita. Inoltre, pensava che la guerra fosse ormai agli sgoccioli, e che quindi l’impreparazione del nostro esercito sarebbe passato in secondo piano, e partecipandovi l’Italia non sarebbe stato tagliato fuori dal tavolo delle trattative. Ma soprattutto, penisola era alleata della Germania fin dal 1936 quando, il 25 ottobre, i due Paesi stipularono il Patto dell’Asse Roma-Berlino (al quale si aggiungerà anche Tokio nel 1941), a cui seguì il Patto d’Acciaio il 22 Maggio 1939. Il primo era un patto d’amicizia che riavvicinava le due potenze dopo le divergenze causate dalla questione austriaca; il secondo era un patto di difesa ed offensiva che obbligava le due parti a fornire aiuto politico e diplomatico, esteso poi anche all’ambito militare in caso di guerra, e prevedeva il non firmare trattati di pace separatamente. Per questi motivi, il 10 Giugno 1940 Mussolini e l’Italia dichiararono guerra alle forze alleate.

Il conflitto prese il via l’1 settembre 1939 quando Hitler cercò di impossessarsi del corridoio polacco di Danzica, che divideva l’antico territorio della Prussia orientale dal resto della Germania, ma un cambio di rotta nella politica delle potenze europee, fermamente convinte nel non cedere quella zona, mise i bastoni fra le ruote all’espansione tedesca. Francia e Inghilterra speravano anche in un’azione della Russia nel caso in cui i nazisti avessero invaso i territori polacchi. Il Führer però li aveva preceduti e, con un’abile manovra diplomatica, il 23 agosto 1939 aveva sancito il Patto Molotov-Ribbentrop (dal nome dei rispettivi Ministri degli Esteri dell’Unione Sovietica e della Germania) che divideva i territori dell’Europa orientale in due zone di influenza, lasciando libertà d’azione ai tedeschi in Polonia. Il patto, tuttavia, ebbe vita breve perché fu sciolto nel 1941 quando Hitler diede avvio all’invasione della Russia con l’Operazione Barbarossa.

Il nostro Paese, per tutto il primo anno di guerra e metà del secondo, attuò una politica di non-belligeranza perché Mussolini si sentì tradito dall’alleato che non lo aveva consultato prima di dare inizio alle azioni in territorio polacco, considerandola come una violazione del patto d’acciaio; inoltre la Germania gli aveva assicurato che il conflitto non sarebbe iniziato che dopo tre anni e quindi l’esercito italiano non era pronto alla guerra.

Nel frattempo, le forze della Wermacht (le forze armate tedesche) continuarono le loro manovre di attacco ai territori settentrionali dell’Europa, conquistando la Danimarca e la Norvegia nel 1940.

A Maggio le attenzioni naziste si spostarono verso la Francia, dove le forze alleate dovettero scontrarsi con la Luftwaffe (l’aviazione tedesca) che, dopo aver costretto l’esercito anglo-francese nella sacca di Dunkerque, permise l’avanzata verso Parigi.

Le continue vittorie naziste, oltre ai motivi elencati poco sopra, spinsero Mussolini a ritenere che fosse il momento per la discesa in campo dell’Italia e, con munizioni sufficienti per appena due mesi di guerra, poche divisioni combattenti disponibili e con la speranza di ottenere una facile e veloce vittoria contro un Paese ormai esausto, nella notte tra il 12 ed il 13 Giugno decise di schierare le truppe verso il confine francese meridionale, preludio alla guerra parallela italiana al fianco dell’alleato tedesco ma in autonomia, così da ottenere gli stessi importanti successi che stava avendo Hitler ed aumentare la fama e la popolarità personale del Duce e dell’Italia.

Tuttavia, l’Esercito Regio non era all’altezza di seguire pari passo quello tedesco e, non riuscendo ad ottenere le conquiste prefissate né in Francia (dove le ostilità della battaglia delle Alpi occidentali si erano concluse con l’Armistizio di Villa Incisa il 24 giugno 1940, firmato separatamente dalla Germania) né in Africa settentrionale ed orientale (dove la guerra per gli italiani terminò il 13 maggio 1943, dopo che nemmeno Erwin Rommel fu in grado di sconfiggere l’esercito alleato), Mussolini iniziò a maturare l’idea che fosse meglio condurre azioni subalterne perché il divario tra le due potenze era troppo grande ed il Duce si sentiva lasciato in disparte sempre più spesso.

Le truppe italiane furono messe quindi al seguito della Wermacht e negli anni che vanno dall’entrata in guerra fino al 1943 furono impegnate, oltre che nel già aperto fronte africano, nelle campagne di Grecia, Jugoslavia e Russia. Tutti gli scontri si risolsero con la disfatta delle forze italiane. In territorio ellenico, solo l’intervento di Hitler riuscì a ribaltare la situazione costringendo i greci a firmare la resa incondizionata, rivolta anche agli italiani che continuavano a combattere su ordine di Mussolini, il 23 aprile 1941. In Jugoslavia, dove gli scontri iniziarono a seguito della ritirata italiana dalla Grecia, il neonato Esercito Popolare di Liberazione dei partigiani comunisti di Tito diede filo da torcere alle nostre truppe e fu nuovamente l’intervento del Führer che cambiò le sorti della situazione, portando all’occupazione del territorio una settimana prima della fine nella zona ellenica In Russia, invece, la disfatta fu totale per entrambe le forze dell’Asse: gli iniziali successi tedeschi spinsero Mussolini ad inviare, nel 1941, il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, trasformato poi nell’VIII° Armata ARMIR (ARMata Italiana in Russia), volendo dimostrare anche di essere il primo alleato della Germania perché il 27 aprile si era unito all’Asse il Giappone. Nel 1943 l’Armata Rossa riuscì a sfondare le difese nazi-fasciste, accerchiandole, e costringendole alla ritirata. La campagna di Russia per gli italiani terminò il 30 gennaio 1943 dopo 350 km di marce estenuanti per raggiungere Schebekino, con condizioni climatiche pessime e dovendo continuare a sostenere gli assalti dei sovietici.

Soldati americani sbarcano in Sicilia

Il 1943 fu un anno decisivo per la penisola italiana perché le forze alleate iniziarono ad organizzarsi per sferrare un attacco diretto all’Italia. Dal 14 al 24 Gennaio, infatti, all’hotel Anfa di Casablanca in Marocco, si tenne la Conferenza di Casablanca a cui parteciparono Roosevelt, Churchill ed i generali francesi Giraud e De Gualle, raggiunti poi dal Generale inglese Alexander e da quello americano Eisenhower. L’attacco alla penisola fu affidato a quest’ultimo. Il 10 luglio 1943, preceduto da fitti bombardamenti strategici, ebbe inizio lo sbarco in Sicilia (Operazione Husky) da parte della VII Armata americana ai comandati del Generale Patton e dell’VIII Armata inglese al seguito di Montgomery. La resistenza italiana riuscì a rallentare l’avanzata degli eserciti, permettendo alle forze dell’Asse di passare lo stretto di Messina prima che gli Alleati arrivassero in città, vanificando sul piano militare l’operazione. Gli anglo-americani riuscirono comunque a conquistare l’isola e la sua liberazione, per il Regime Fascista, fu l’ultimo scossone che fece crollare un castello di carte ormai in bilico da troppo tempo.


Il 19 Luglio aerei americani solcavano il cielo di Roma bombardando alcuni quartieri; la contraerei italiana non riuscì a rispondere e sulla città furono sganciate 4 mila bombe in 152 minuti, causando 3 mila morti e 11 mila feriti.

Questi attacchi portarono alcuni membri del Gran Consiglio del Fascismo alla decisione che fosse necessario un cambio di rotta drastico. Fu così che, il 24 luglio 1943, fu indetta una riunione per votare alcuni ordini del giorno tra cui l’Ordine Grandi che, firmato dalla quasi totalità (meno 1) dei presenti, il giorno dopo portò alla caduta di Mussolini ed alla sua cattura. Il Re tornò ad essere il Capo dello Stato e come Primo Ministro fu scelto il Maresciallo Pietro Badoglio che in un comunicato, per non destare i sospetti di Hitler, annunciò che la guerra sarebbe continuata al fianco dello storico alleato. In realtà si stavano già muovendo gli ingranaggi che avrebbero portato alla firma dell’Armistizio di Cassibile il 3 settembre 1943, reso noto dalle radio cinque giorni dopo (ecco perché è meglio conosciuto come l’armistizio dell’8 Settembre). L’esercito, a seguito della fuga verso Brindisi della famiglia reale e dei vertici militari, fu lasciato senza ordini e molti furono i soldati che si sbandarono. Molti di loro furono deportati dai nazisti, che il 9 avevano varcato le frontiere del Brennero per iniziare le manovre di occupazione del suolo italiano, nei campi di lavoro polacchi o tedeschi, altri ex soldati decisero di unirsi al movimento della Resistenza che stava iniziando a prendere piede.

La sera stessa della resa dell’Italia, una gigantesca forza navale si dirigeva verso il golfo di Salerno (Operazione Avalanche) al comando del Generale Clark. L’attacco prevedeva due sbarchi, a nord ed a sud del fiume Sele: i britannici dovevano occupare l’aeroporto di Montecorvino Pugliano, Battipaglia ed i passi che conducevano a Napoli, mentre gli americani dovevano prendere le strade principali per stabilire il contatto con l’armata di Montgomery che stava risalendo l’Italia dopo essere sbarcata in Calabria. Il 23 settembre l’offensiva alleata finale riuscì a liberare l’agronocerino sarnese ed a portare l’attacco verso la città partenopea, raggiunta il 1 Ottobre. A Napoli, l’ingresso degli anglo-americani fu agevolato da un’insurrezione popolare tra il 27 ed il 30 Settembre che riuscì a cacciare i tedeschi ed a consegnare agli Alleati una città libera. Grazie a questa azione, Napoli ricevette la Medaglia d’Oro al Valor Militare. L’Operazione Avalanche era conclusa.

Abbandonata l’idea di uno sbarco sulle coste orientali della penisola, gli anglo-americani decisero di concentrare i loro sforzi nella zona tra Napoli e Roma, dove il Feldmaresciallo Kesselring aveva posizionato la X Armata e dove l’Organizzazione Todt aveva costruito una linea difensiva

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fortificata che prenderà il nome di Linea Gustav, estendendosi lungo il confine tra Campania e Lazio, tagliando quindi in due la penisola: a nord i tedeschi, a sud gli Alleati.

Dopo la sua cattura, Mussolini fu imprigionato in un hotel a Campo Imperatore (Abruzzo), dal quale venne liberato il 12 Settembre da un reparto di paracadutisti tedeschi senza colpo ferire. Da qui fu portato a Pratica di Mare, da dove volò verso Vienna ed in fine raggiunse Hitler a Rastenburg il 14. Dopo questo incontro, l’ormai ex Duce tornò in Italia, dove diede vita ad un governo fantoccio di fatto in mano nazista: la Repubblica Sociale Italiana (RSI), meglio conosciuta come Repubblica di Salò dal nome della località sul lago di Garda dove Mussolini trovò rifugio.

Nel sud Italia, invece, gli Alleati aveva instaurato il governo parallelo del Regno del sud che disponeva anche di un esercito, l’Esercito Cobelligerante Italiano, formato dai soldati italiani che avevano abbandonato l’ex Capo di Stato ed inizialmente inquadrato come Corpo Italiano di Liberazione (CIL).

Quasi contemporaneamente, nacque il fenomeno della Resistenza, una lotta partigiana portata avanti da comuni cittadini, o ex militari, appartenenti a varie ideologie politiche (comunisti, democratici, cattolici, socialisti, liberali, anarchici) che avevano deciso di non rimanere con le mani in mano ma che non volevano nemmeno essere inquadrati in un esercito. Questo tipo di guerriglia, a differenza dell’esercito collaborazione che fu addestrato dai britannici, prese forma in maniera disordinata e disorganizzata finché il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) non iniziò a dirigerne le azioni (al nord Italia esisteva il CLN Alta Italia (CLNAI).

Negli ultimi mesi del ’43, l’avanzata alleata fu rallentata dalla linea difensiva fortificata, che prese il nome di Linea Gustav, che i tedeschi avevano costituito sfruttando la morfologia dell’Italia. Per aggirarla, le forze alleate cercarono di sbloccare la situazione facendo sbarcare, nel gennaio del 1944, nuove truppe ad Anzio (Operazione Shingle). L’azione non riportò ai successi sperati perché il fronte sarebbe stato rotto solamente con la battaglia di Montecassino, avvenuta in primavera, che avrebbe portato alla liberazione di Roma il 5 Giugno quando gli americani la dichiararono “città aperta”.

L’avanzamento verso il nord Italia continuava ad essere difficoltoso: i tedeschi non volevano abbandonare le posizioni e le condizioni, e la geografia, del territorio gli erano favorevoli permettendogli di creare tante linee difensive quanti erano i fiumi che potevano mettere tra loro e gli Alleati.

In giugno la campagna d’Italia fu ulteriormente rallentata da una nuova azione delle potenze alleate per la riconquista del suolo francese, cioè lo sbarco in Normandia (Operazione Neptune) avvenuto il 6 giugno 1944, che portò via molte forze dal suolo italiano passato momentaneamente in secondo piano. I nazisti ne approfittarono per riorganizzarsi dietro una nuova linea difensiva fortificata, denominata Linea Gotica, che correva sugli Appennini tosco-emiliani e che fu raggiunta nella seconda metà dell'anno dalla V Armata americana, al comando del Generale Clark, e dall’VIII Armata inglese, comandata fino ad Ottobre dal Generale Oliver Leese e poi dal Generale McCreery.



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