Al Museo Storico della Resistenza di Sant'Anna di Stazzema, descritto in un nostro precedente articolo, possiamo trovare una parte allestita con le bellissime foto di Oliviero Toscani, curatore della mostra “I bambini ricordano”, accompagnate dalle testimonianze di alcuni sopravvissuti alla strage del 12 agosto 1944.
Con il permesso dei curatori del Museo, trascriveremo ognuna di queste vicende così che anche chi non può visitare il museo possa comunque vedere com'è stato vissuto da queste persone quel periodo infernale.
Secondo post nella serie delle testimonianze, potete recuperare il primo semplicemente selezionando la categoria "TESTIMONIANZE" o seguendo questo link: LA STRAGE DI SANT'ANNA - Enio Mancini.
Ho settantadue anni.
Sono nata a Sant’Anna di Stazzema.
Mi ricordo che, quella mattina, ci siamo alzati presto. Dovevo andare a Ponte Rosso, sono arrivata a prendere l’acqua e ho visto che c’erano i tedeschi, che arrivavano da Monte Ornato. Allora sono andata di nuovo a casa e ho detto ai familiari e a tutti i vicini, che c’erino i tedeschi e bisognava scappare, perché avevamo paura. La gente s’è impressionata tutta, chi andava da una parte, chi dall’altra, tutti sono usciti di casa e gli uomini si sono nascosti ne' boschi.
Sono arrivati i tedeschi e hanno cominciato a girare per le case e a buttà fuori la roba che c’era. Ma poi non hanno fatto nulla. Hanno cercato di mandarci sulla strada per portarci via. Noi eravamo saliti ne' boschi, sopra le case, appunto, per nasconderci.
Invece c’hanno fatto scendere, c’hanno fatto mettere in fila sulla strada, sul sentiero che c’era, c’hanno portato un pezzo avanti, poi c’hanno fermato e hanno cominciato a sparare.
Su una foce vicino a noi c’era un posto che si vedeva bene: Monte Lieto. Hanno buttato un segnale, un segnale rosso e noi ci siamo impressionati, perché un si sapeva quello che poteva succedere.
C’hanno rimesso in marcia, c’hanno caricato di munizioni; a chi gli hanno dato cassette di munizioni, a chi la mitraglia e c’hanno portato fino alla Vaccareccia.
Hanno levato tutte le bestie che erino nelle stalle, i cavalli, le pecore, insomma tutti questi animali e poi c’hanno messo dentro noi. Ci siamo infilati là dentro a forza, eran tutte piene di persone questi fondi. Hanno cominciato a preparare la mitraglia, hanno aperto la porta, de' fondi, e hanno cominciato a sparare. A tutto spiano.
La gente, chi gridava, chi piangeva, chi si nascondeva. Anche la mi’ sorella è sortita fuori e poi l’hanno uccisa fuori.
Poi hanno buttato dentro delle fascine di legne e hanno dato fuoco.
Ha incominciato a brucià la gente e la porta del fondo, dove eravamo noi, sicché noi un si poteva più uscire.
Un si poteva più perché c’era il fumo, la puzza, tutta la roba che poteva esiste. Siamo stati diverse ore lì.
Non si poteva più resiste dal calore che c’era. C’era il soffitto, era tutto deformato. Ho preso un pezzo di tavola, l’ho appoggiata al muro, ho alzato su, il pavimento della cucina che c’era al piano di sopra.
C’erano du’ altri ragazzi, tre ragazzi, più piccoli di me e l’ho aiutati a tirarsi su, Sono andata su, in questa cucina e poi ho tirato su questi ragazzi perché sennò soffocavino dal fumo e dal calore che c’era.
Siamo stati un po’ fuori. A un certo punto, ho cominciato a sentì una voce che ci chiamava, perché lì, buffava da tutte le parti il fuoco, il calore. Non si resisteva più.
Abbiamo sentito una voce, ci chiamava: “Milena vieni giù che siamo qui anche noi. Un ci state fuori”.
Era un ragazzo che si chiamava Ennio Navari di Pietrasanta, era scappato quando hanno cominciato a mitragliare nella stalla. S’era infilato su un forno lassù, alla Vaccareccia, sempre nel solito posto. Ci sono andati i tedeschi gl’hanno messo della paglia dentro e l’hanno bruciata. Lui è rimasto sopra, c’era un calore tremendo. Poi, a un certo punto, quando abbiamo sentito questa voce, siamo andati giù e Ennio, questo ragazzo, ha detto “Venite su, su questo forno perché possono tornare questi tedeschi”. Allora ci siamo arrampicati su questa cupola del forno. Siamo stati lì fino alle 17:30, la sera.
Eravamo in quattro, cinque eravamo.
E poi la sera a una cert’ora abbiamo sentito delle voci. Perché lì un si sapeva più da che parte si poteva sortire noi. Avevamo paura, si sentivano i colpi da tutte le parti, il fuoco, il fumo, tutte le case incendiate, si vedevano.
I gridi si sentivano…
Dopo è cominciata ad arrivà la gente e ci cercava. Passò una bimba. Ci disse che avevano bruciato tutti. Anche il mio babbo, la mamma.
Disse: “Tutti!”, si chiamava Nara: era un bimba che era sortita da un forno di una stalla. Era andata a casa, andava a casa sua perché era tutta bruciata come…
E a un certo punto siamo scesi giù da questo forno, siamo andati fuori e…
Ma eravamo tutti, tutti sangue, tutti neri… tutti bruciati dal fuoco, dal fumo.
Poi, a un certo punto, è cominciata a arrivà della gente in aiuto. C’ha preso, c’ha portato via, c’ha portato a casa mia all’Argentiera, perché era l’unico posto che era rimasto. Non avevino bruciato né le case, né nulla.
Siamo arrivati là e tutti i genitori erano tutti disperati perché avevino portato via tutte le famiglie e nessuno aveva notizie su quello che poteva esse successo.
Dopo ci hanno ricoverato. Lì, c’hanno messo un po’ per terra, un po’ da una parte, un po’ dall’altra. Poi sono arrivati i familiari di quegl’altri; chi c’aveva il babbo, chi c’aveva una sorella, chi un fratello… Quelli che eravamo rimasti lì. E quando è arrivata la notte eravamo terrorizzati dalla paura…
Il secondo giorno, io ero piena di ferite, avevo in giro ferite. E poi c’avevo le pallottole anche dentro. E sanguinavo da tutte le parti. E allora è arrivato un partigiano, credo. Diceva che era un dottore. M'ha medicato, m’ha levato un po’ di schegge, tutto quanto. Poi a un certo punto ha detto “Signora, bisogna che questa ragazza venga portata all’ospedale perché se viene un’infezione” – dice – “può morire”.
Allora i mi’ genitori hanno organizzato un telo, con su de' bastoni, c’hanno sceso lungo i boschi, c’hanno portato a Valdicastello dove c’era l’ospedale. C’hanno portato laggiù. E siamo stati diversi giorni laggiù tutti, in qualche modo, perché c’era poco posto, anche.
Dopo pochi giorni, hanno cominciato a dire che c’erano i tedeschi, di nuovo, che si preparavano per far saltare il ponte.
Dopo qualche giorno, infatti, hanno cominciato a dire “Stasera danno fuoco a’ ponti. Saltano i ponti”.
Noi eravamo tutti lì. È venuta la mia mamma, sicchè le ho detto “Guarda che dicono che saltano i ponti, qui così. Come si fa?”. E allora dice “Ti portiam via”… ma c’erano i tedeschi da tutte le parti, un si sapeva come fare.
La sera verso le 17:00 ci dissero:
“Ci sono i tedeschi! Saltano il ponte! Saltano il ponte!” Ci siamo riparati, chi sotto il letto, chi da una parte, chi dall’altra. C’hanno messo dÈ materassi addosso perché chi non si poteva muovere doveva rimanere nel letto. C’hanno coperto un po’ alla meglio.
Hanno fatto saltare questi ponti. Tutti i vetri, tutti i tegoli addosso. È successo un finimondo!
Verso sera, un po’ più tardi, si sono calmate un po’ le cose. Allora sono iniziati a arrivà tutti i feriti, chi aveva una gamba rotta, chi una cosa chi l’altra…
Il giorno dopo son venuti, m’hanno preso, m’hanno portato via. M’hanno portato su per un bosco perché un c’era altri mezzi. M’hanno preso in collo, sulle spalle e m’hanno portato su. M’hanno portato sotto una grotta dove c’eran tutti i mi’ familiari, tutti i vicini… quelli rimasti, insomma.
Ci siamo stati per diversi giorni! E la mattina la mamma, la mia mamma, andava in campagna e raccoglieva quello che poteva per poter mangiare qualche cosa: fagioli, patate. Quello che ci poteva esse.
Siamo stati diverso tempo in queste grotte.
Io ho perso du’ sorelle, i nipotini. Il babbo e la mamma no. E un fratello: era in Sardegna, era militare. Erano già tanti mesi che un si sapeva nulla, era prigioniero laggiù.
Dopo parecchio tempo, insomma, ci siamo ripresi e siamo riandati alle nostre case, ma chi ce l’aveva, chi no. Era bruciato tutto, avevano saccheggiato da tutte le parti, avevano portato via quello che potevino trovare. È stato il finimondo.
Anche a distanza di tanto tempo, anche dopo diversi giorni, venivano sempre e dicevano “Oh! Ci sono i tedeschi! Ci sono i tedeschi! Ci sono i tedeschi!”, e non s’aveva paura perché avevo visto già quello che era successo.